top of page

APPROFONDIMENTI  

In questa sezione troverete alcuni approfondimenti circa la storia dell'antica città di Pompei e le località limitrofe, seppellite da una coltre di cenere e lapilli in seguito all'eruzione del Monte Vesuvio nel 79 d. C.

I PANIFICI

NELL'ANTICA POMPEI

La numerosa presenza di forni e pasticcerie (circa 34) per la produzione e la vendita di prodotti a base di farina, lascia intendere che la panificaziAone fosse una delle attività più fiorenti della città di Pompei. Gli impianti più grandi (circa 23) erano quasi sempre provvisti di macine, stalla, ed di un quartiere abitativo, ma senza bottega per la vendita diretta.


Il lavoro nella panetteria iniziava con la pesatura del grano, poi il frumento era posto nei mulini dai garzoni dei fornai (pistores). Le macine erano in pietra lavica (catillus), materiale che non lasciava nella farina residui dannosi ai denti. Esse avevano una forma a clessidra e lunghi bracci di legno, ed al loro interno era inserito un elemento conico di dimensioni inferiori (meta). Queste macchine venivano azionate dagli schiavi o dagli asini, che imprimevano loro un movimento rotatorio in grado di triturare il grano. La farina ottenuta veniva successivamente raccolta su una lamina di piombo che ricopriva la base circolare in muratura dei mulini. Seguiva la setacciatura regolata a seconda del tipo di clientela da servire. I setacci a maglia stretta erano utilizzati per ottenere farina molto fine e bianca per i tipi di pane pregiato, quelli a maglia larga per la farina scura e grezza adatta a preparare il pane destinato alla plebe. Quindi, il tutto veniva impastato con acqua e distribuito su assi speciali dove gli si dava la forma richiesta e si infornava.

 

Alcuni tipi di pane erano decorati con anice, semi di papavero, di sesamo e altre essenze fissate sulla crosta con bianco d'uovo. Sembra che solo in epoca tardo-repubblicana si cominciò ad usare il lievito, ottenuto mescolando miglio o crusca a farina acida.
I forni a legna erano realizzati in mattoni (opus latericiumcium), mentre il pavimento dei panifici era fatto di lastre di lava basaltica, lo stesso materiale utilizzato per la pavimentazione delle strade, ciò per facilitare l'andamento degli animali o degli schiavi che spingevano le macine legati alle travi lignee.


Sulla parete esterna del forno del panifico collegato alla casa di N. Popidius Priscus, è stata rinvenuta una lastra in travertino con un fallo in rilievo recante la scritta "hic habitat felicitas", ora nel Gabinetto segreto del Museo Nazionale di Napoli. La scritta, dal chiaro valore apotropaico, collegava la produzione del pane alla forza generatrice della natura.
Di straordinario interesse sono gli ottantuno pani carbonizzati rinvenuti nella bottega di Modestus. Essi hanno quasi tutti una forma circolare ad otto spicchi, un diametro di circa 20cm, ed un peso medio di circa 580g.

FORTIFICAZIONI E PORTE

NELL'ANTICA POMPEI

La città di Pompei sorse su di uno sperone lavico le cui pareti costituivano una difesa naturale nelle sue porzioni occidentale e sud-occidentale, ma era, altresì, dotata di una cinta muraria della lunghezza di 3220m. Dagli studi effettuati è stato possibile riconoscere lungo le mura varie fasi edilizie che vanno dal VI sec. a. C. all'età Sillana (I sec a.C.).

 

La prima fase vide l'utilizzo di blocchi di lava vesuviana detta pappante (VI sec. a.C.) per la costruzione di un muro ad unico paramento, in seguito, probabilmente sotto l'influenza greca, le mura furono mutate in una struttura a doppia cortina in calcare di Sarno con un riempimento interno (V sec a.C.). Le mura, così come le possiamo ammirare oggi, furono costruite con la cosiddetta tecnica ad aggere, cioè addossando un potente terrapieno al paramento interno di un possente muro a doppia cortina, costituito da blocchi isodomi di Calcare di Sarno e Tufo di Nocera (IV sec a.C.). L'ultima fase delle fortificazioni risale ai primi anni del I sec a.C., quando furono rafforzate con robuste torri di guardia ad intervalli regolari, in previsione della guerra contro Silla.

Lungo le mura si aprivano 7 porte di accesso alla città: Porta Ercolano a Nord-Ovest, costituita da una struttura a tre fornici; Porta Vesuvio a Nord, crollata in seguito al terremoto del 62 d.C.; Porta di Nolaad Est preceduta da due bastioni e decorata con una testa di Minerva sulla chiave di volta dell'arco;Porta di Sarno ancora ad Est, completamente distrutta con riconoscibile solo una parte del lato esterno;Porta Nocera collocata nel settore Sud-Est, molto ben conservata; Porta di Stabia a Sud Ovest forse la più antica di Pompei; Porta Marina ad ovest che conduceva al porto, costituita da una imponente galleria con due passaggi, uno pedonale e l'altro per i carri; E l'ottava, solo ipotizzata considerando una distanza simmetrica tra le altre porte, detta Porta di Capua che doveva sorgere a Nord-Est.

LE TERME

NELL'ANTICA POMPEI

Pompei con le sue testimonianze ha contribuito in modo significativo alla conoscenza della storia delle terme romane. In città sono stati rinvenuti cinque edifici termali pubblici, ed alcune delle abitazioni più ricche, come la Casa del Menandro e la Casa del Labirinto, erano provviste di un'area termale privata.


Le Terme Stabiane, che prendono il loro nome dalla Via di Stabia che le costeggia, sono il più antico stabilimento della città. Esso risale al III sec. a.C., c subì rifacimenti successivi. L'impianto termale ha due ingressi separati, per gli uomini sull'ala sud, e per le donne sull'ala nord. Tra i due settori era posto un ambiente, il praefurnium, in cui erano le caldaie per il riscaldamento. Le intercapedini che correvano sotto il pavimento (generate attraverso colonnine di mattoni chiamate suspensurae) e lungo i muri laterali (create attraverso delle tegole fornite di distanziatori, chiamate tegulae mammatae) venivano attraversate dall'aria caldissima prodotta nel paerfurnium, riscaldando in tal modo gli ambienti termali.
Nell'edificio si possono distinguere diverse fasi architettoniche, una più antica in cui piccole stanze da bagno si affacciavano, secondo la consuetudine greca, su una grande palestra, ed una più recente durante la quale vennero costruiti innovativi ambienti specifici. Come gli spogliatoi (apoditeria), stanze con volte a botte sui cui lati erano disposte delle nicchie per deporre gli abiti; le sale con piscine per i bagni freddi (frigidaria); gli ambienti tiepidi (tepidaria) utilizzati per il relax ed i massaggi; i bagni caldi (calidaria); e le stanze per la detersione con lo strigile (destrictaria).
Al centro della palestra si trova la piscina (natatio) cui si accedeva attraverso due vani lungo i lati brevi, uno dei quali collegato ad un altro ambiente, probabilmente uno spogliatoio con bellissime decorazioni in IV stile raffiguranti Giove, Ercole, un satiro, ninfe e atleti.


In prossimità del Foro si trovano, invece, le Terme del Foro. La loro costruzione risale probabilmente ai primi anni della colonia sillana, come testimonia una iscrizione rinvenuta lungo via del Foro, in cui si fa riferimento ai magistrati che appaltarono l'opera. Le Terme del Foro presentano una struttura più semplice e ridotta rispetto a quelle Stabiane. All'impianto si accedeva da più ingressi, dal vico delle Terme per le donne, e da via del Foro e via delle Terme per gli uomini. Il settore maschile e quello femminile si trovano ai lati delle fornaci (praefurnia), ed entrambi erano dotati di un apoditerium, di un frigidarium, un tepidarium ed un calidarium.
Il vano più suggestivo è sicuramente il tepidarium della zona maschile, sia per la ben conservata volta decorata con rilievi in stucco, che per i magnifici telamoni in terracotta che ne adornano le pareteti laterali. Di notevole importanza è il sistema di riscaldamento di questa stanza, costituito da un grande braciere in bronzo offerto alla cittadinanza dall'evergeta Marcus Nigidus Vaccula. Il riscaldamento per mezzo di un braciere cadde in disuso verso la fine del I sec. a.C., ma fu reintrodotto in queste terme, probabilmente, in seguito ai danni causati dal terremoto del 62 d.C.
 

Le più grandi terme, chiamate Terme Centrali, erano ancora in costruzione al momento dell'eruzione. Si iniziò a costruirle dopo il 62 d.C., e per la loro realizzazione si demolirono tutte le case di un'intera insula, da cui si recuperò anche molto materiale di spoglio per la costruzione delle murature. Questa struttura termale era diversa dalle altre rinvenute a Pompei, e presentava innovazioni architettoniche introdotte in epoca imperiale. L'entrata principale era in via di Nola ed era provvista di due piccole stanze, una biglietteria e un, probabile, deposito oggetti. Non vi era un settore femminile (probabilmente uomini e donne utilizzavano l'edificio in orari diversi), e tutti gli ambienti termali erano illuminati da grandi finestroni. Non c'era il frigidarium, e dallo spogliatoio si passava direttamente al tepidarium riscaldato con il sistema delle pareti concamerate, e poi tramite un laconicum (corridoio), al caldarium.


Le Terme Suburbane si trovavano, come indica il nome stesso, all'esterno delle mura, nei pressi di Porta Marina. Furono costruite nei primi decenni del I sec. a. C., ma subirono diverse modifiche nel corso degli anni. Sono di straordinaria bellezza la decorazione a riquadri in stucco del frigidarium, in cui appaiono vittorie alate, amorini e divinità fluviali, e le decorazioni musive e pittoriche rappresentanti paesaggi marini e simboli divini del ninfeo rinvenuto nei medesimi ambienti. Di particolare interesse, inoltre, sono i sedici pannelli erotici dello spogliatoio (tra questi anche una scena saffica) nei quali si riconosce, secondo alcune interpretazioni,  l'esplicita allusione a prestazioni sessuali praticate nell'edificio.


Le Terme del Sarno sono costituite da un grandioso caseggiato su quattro livelli che prende il nome da una pittura in IV stile raffigurante il fiume Sarno. Queste terme furono ricavate nel II sec. a. C. da case preesistenti, ed ampliate nella metà del I sec. a.C., ma furono gravemente danneggiate dal terremoto del 62 d.C. Le stanze termali vere e proprie si trovavano al quarto livello, ed erano ancora in fase di ristrutturazione all'epoca dell'eruzione. Nel frigidarium, oltre alla pittura rappresentante il Sarno, corre un bel fregio ornato con un paesaggio nilotico e pigmei. La palestra, che occupa gran parte del complesso, offre ricche scenografie con atleti e scene di lotta.

STILI PITTORI

EPOCA ROMANA

Il primo studioso a classificare la pittura pompeiana è stato, l'archeologo tedesco August Mau che la distinse in quattro stili. Il primo stile, riferito al periodo che va dal III al I sec a.C., di origine greca, detto stile strutturale o a incrostazione, era un'imitazione in stucco, spesso anche a rilievo, della tecnica definita opus quadratum, utilizzata per rivestire di marmi le pareti esterne degli edifici pubblici e religiosi in stile dorico. Esempi significativi di questo stile si trovano nella Casa del Fauno a Pompei e nella Casa Sannitica ad Ercolano.

 

Il secondo stile, descritto in maniera dettagliata da Vitruvio, detto stile architettonico, fu introdotto nel I sec. a.C., e rielaborava alcuni elementi dello stile precedente. Ispirato alla scenografia del teatro di tipo ellenistico-romano, ripartito in una parte bassa a forma di podio, su cui poggiavano nella parte centrale della parete finte strutture murali, colonne, edicole, megalografie con personaggi rappresentati a grandezza naturale o ad una scala leggermente più piccola, elementi floreali e animali, e vedute in prospettiva con realismo illusionistico dall'effetto finale di un trompe l'oeil. Esempi di II stile si trovano nel triclinio della Villa di Oplonti,nella Villa dei Misteri, e negli affreschi provenienti dalla Villa di Boscoreale, ora conservati  al Metropolitan Museum di New York e al Museo Archeologico di Napoli. 

 

Negli ultimi anni del I sec. a.C. sotto il principato di Augusto con il terzo stile, detto stile pompeiano o ornamentale, prende sopravvento il decorativismo. Sparisce l'illusione prospettica, sostituita da fondi a tinta unita, solitamente in nero, rosso o bianco, con al centro pitture miniaturistiche raffiguranti scene di vario tipo, per lo più mitologiche, racchiuse in edicole o quadretti detti pinakes. Le pareti erano concepite come piani suddivisi con in basso uno zoccolo, diviso dalla parte mediana, tramite una predella con fregi variamente decorati. Tipici erano i candelabri, i tralci vegetali e i tirsi. A Pompei se ne conservano solo una cinquantina di esempi poiché la maggior parte del materiale che appartiene al III stile è andata perduta. Alcuni tra gli esempi più belli del terzo sitile si possono ammirare nella Casa dei Vettie nella Casa di Lucrezio Frontone. 

 

A partire dall'età Claudia si sviluppa il quarto stile, definito stile fantastico, che nella sua prima fase vede il ritorno degli elementi architettonici del II stile, rielaborati con illusionismo di tipo fantastico. Scene di carattere eroico-mitologico e figure allegoriche, dipinte con colori più caldi e raffiguranti elementi accessori in colore giallo oro. Nel periodo flavio, quindi negli ultimi anni di vita della città di Pompei, compaiono vere e proprie scenografie e grandi paesaggi. E' la decorazione più diffusa a nell'area vesuviana, visto che molte abitazioni furono ridecorate dopo il violentissimo terremoto del 62 d. C. La Casa del Poeta Tragico, quella dei Vetti e del Menandro a Pompei, il Sacello degli Augustali e la Casa dei Cervi ad Ercolano presentano alcuni dei più begli esempi di decorazioni in quarto stile.

ATLANTE FARNESE

MUSEO ARCHEOLOGICO DI NAPOLI

La statua entrò a far parte della collezione del cardinale Alessandro Farnese nel 1562. Raffigura il titanoAtlante che sorregge sulle spalle il globo, sul quale sono rappresentate in bassorilievo quarantatre costellazioni.

La peculiarità della scrittura, copia romana del II sec. d.C. di un prototipo ellenistico, è determinata dalla sua unicità, in quanto non esistono altri monumenti figurativi che testimonino, in modo altrettanto completo, l’iconografia della sfera celeste così come era maturata nella cultura astronomica greco-ellenistica.

La sfera celeste è raffigurata come vista dall’esterno, così come apparirebbe ad un osservatore posto al di fuori dell’universo: per questo le immagini delle costellazioni sono rappresentate per lo più di dorso. Tutti gli elementi sono resi a rilievo molto tenue: l’equatore, i tropici e i cerchi boreale e australe.

Sul globo sono rappresentate 43 costellazioni: lungo la fascia ellittica i dodici segni zodiacali, con la costellazione dell’Ariete nel punto equinoziale, corrispondente alla situazione astronomica del IV secolo a.C.; 17 costellazioni nell’emisfero boreale e 14 in quello astrale.

Il globo Farnese costituisce dunque la più antica rappresentazione pervenutaci delle costellazioni, secondo un’iconografia che, nella maggior parte dei casi, è rimasta inalterata nei secoli e che si è tramandata attraverso l’opera di Tolomeo – e delle sue versioni arabe – fino al Rinascimento; proprio in quell’epoca, contemporaneamente all’apparizione dell’Atlante sul mercato antiquariato, ripresero il grande interesse e lo studio dell’astronomia. 

bottom of page